Vera Meneguzzo

Numerose e diversificate le tappe che hanno segnato l’itinerario artistico di Giorgio Mazzurega, sempre fedele al principio che la creatività è incessante, irrequieta ricerca di un principio simbolico in cui realtà e interiorità collimano e si fondono.

Per questo le sue opere riescono a oltrepassare la contingenza dei vari stili sperimentati per sintetizzarsi in quel “quid” elettivo che l’arte sa suscitare.

Dopo un periodo figurativo dedicato al ritratto e poi ispirato ad surrealismo lieve, mai inquietante, velatamente lirico, Mazzurega scende nei molteplici rivoli dell’astratto mirando a personalizzarne di dettati.

Le sue tele sono un pulsare complesso di esplosioni cromatiche, di fantasticherie spaziali che prediligono una visione a perpendicolo facendo immaginare metropoli percorse da un moto febbrile, pervase da una energia che non si limita al dinamismo ma di questo ricerca le ripercussioni estetiche.

Altre immagini, sospese tra la figurazione e l’astratto, connotano la fase dedicata ai “muri”. Soprattutto ai muri veneziani, ricchi di involontarie concettosità visive per l’effetto di quegli umori di umidità che intridono le pietre, la calce e i manifesti che vi sono stati incollati, e poi strappati evidenziando una stratificazione atta a suggerire forme inconsuete e misteriose. Fra le spatolature serrate, color della tundra, affiorano strani esseri, una specie di incrocio tra la maschera abbigliata di mantello e bautta e l’uccello sacro dell’antico Egitto, o solo fantasmi che potrebbero staccarsi dalle pareti e aggirarsi in qualsiasi luogo in cerca di una identificazione.

Solo arte astratta invece, nelle superfici ricoperte da un pigmento catramoso, e penetrate da profonde incisioni di colore contrastante, simili a colature di lava che poi si amalgamano l’una nell’altra, o ai segni graffiati nelle celle dai prigionieri per segnare il passare dei giorni. Luce e ombra esaltano i contorni liberi e i piani accostati, intrecciati o sovrapposti che riescono a risolvere con scioltezza le variabili esigenze della costruzione pittorica e della espressività.

Mazzurega è particolarmente attratto anche dall’”Arte povera”, dove raggiunge ragguardevoli risultati.

Certo non è facile estrarre da un incontro – seppur non fortuito – tra un chiodo, un cartone ondulato, una rete metallica, e i più diversi materiali, ormai privi di ogni utilizzazione, un condensato di affascinanti strutture

formali. Ne redimere, poeticamente, una paccottiglia di “inesteticità”.

La sfida con l’”Arte povera”(movimento nato circa quarant’anni fa) continua a stimolare il lavoro di Mazzurega. Spingendosi anche alle incognite del cartone bruciato per poterne rielaborare gli esiti. Alla manipolazione di una semplice rete destinata a contenere patate fino a farla diventare impronta di un pesce fossile improvvisamente ridestato.

Raffinato il lavoro di affresco su ordinarie tavelle in cotto da costruzione, e quello di incisione che le fa apparire, per la sequenza di indecifrabili crittogrammi, tavole di scrittura di civiltà sepolte.

Quasi naturale quindi il passaggio all’installazione, che l’artista compone con vecchi legni, corde, fili di juta e poi dipinge con i suoi tipici colori per farci ricordare che l’arte è anche il più fantastico dei giochi.